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venerdì 28 gennaio 2011

PENNA ROSSA - 8° episodio


Si svegliò di colpo e il sussulto improvviso trasformò in un urlo soffocato il pianto che l’aveva raggiunta nel sonno.
Le immagini trasmesse dal televisore le parvero una bestemmia, una violenza inaccettabile paragonate a ciò che aveva appena visto, sentito chiaramente eppure solo sognato.
Come in trance, avanzò fino alla finestra per guardare la vita scorrere via insieme al fiume; poi, si mise al computer.

Qualunque distanza ci separi, io ti sento Davide, ti vedo. Solo un attimo fa stavi appoggiato a un muro, le braccia incrociate sul petto, la testa reclinata appena. Stavolta mi hai vista, hai sorriso e hai continuato a guardarmi.
Era proprio il muro dell’Istituto quello che ho intravisto nel sogno? Quello del secondo cortile sempre affollato di motorini e biciclette, il muro  pieno di scritte in quel posto fitto di angoli bui. Lo sai che ogni volta ci guardavo nella speranza di vederti nell’ombra, in attesa di qualcosa, magari proprio di me?
Davide, ricordi quante volte ci siamo guardati negli occhi?
Io sì e potrei elencarle tutte, dipingerle se vuoi. Sapessi quante volte le ho riguardate, a occhi chiusi nel letto o sul tram, in treno.
La mia scena preferita è di quella volta che a Venezia mi ero seduta in fondo alla sala e tu, annoiato dal collega francese, ti mettesti in cerca di me per poi guardarmi severo e infine sorridere, all’improvviso complice.
O quel mattino di primavera, in aula magna!
E ricordi il giorno che venni a prenderti alle tre del mattino a Firenze perché avevi perso il treno e ti stava per assalire il panico? Ti ricordi che quella volta mi sfiorasti appena per poi cominciare a insultare la mia, a tuo avviso, profonda superficialità e sciatteria?

E Marina rise per quell’ossessione, ingiusta e ancora viva, che ogni giorno provava a strappare dalla memoria e dagli occhi per farla a pezzi.
Penelope mosse le orecchie grigie appena orlate di nero e, odorata l’aria, si dispose per il sonno, per quello strano dormiveglia che sa di contemplazione e di estasi.
Marina prese di nuovo a rimestare in quel sogno arrivato dal buio fitto come un lampo improvviso.


In quello stesso istante, Davide, preso da un senso di vuoto, scriveva su carta color champagne parole blu notte.
 Marina, è raro che io ricordi i sogni, lo sai, ma questa notte sei entrata nella mia testa come un'intuizione, come un lampo di genio insperato, come un’idea così brillante che acceca. Mi parlavi all’orecchio e io non sentivo parole, solo il tepore delle tue labbra e del tuo fiato sottile. Poi sei sparita all’improvviso, risucchiata in un pozzo oscuro. Indossavi un tailleur, quello che non mi stancavo mai di guardare mentre pensavo a come sfilartelo di dosso, quello grigio perla.
Rilesse la lettera e fece l’unico gesto sensato: accarezzò Freud. Poi mischiò del tabacco fra le dita e si domandò il perché di quella visione non richiesta.

Marina, che adesso teneva  fra le mani una tazza bollente di qualcosa, tornò allo scrittoio e aprì il terzo cassetto dall’alto, quello con intarsiate tre minuscole pansè.
A lungo lasciò giacere la mano accanto a una lettera di colore chiaro, ripiegata più volte.
Era lì che riponeva con cura i ricordi più tristi, compreso quello di un pomeriggio piovoso e lento a finire.
Pensò che l’inchiostro, un tempo rosso cupo, ora impallidito là dove la carta era rimasta piegata per anni, somigliava alla sua vita.
E anche la lettera, abbandonata per le prime settimane a vagare nella borsa, in seguito usata come segnalibro e segregata infine in quel cassetto buio, le ricordava la Marina di oggi, quella che grazie a un uomo si dimentica di sé e dei suoi talenti.

Caro Davide,sono tre mesi che ti chiamo dall’Inghilterra e ti fai negare.
Ti scrivo e non rispondi.
Sei così distratto da te stesso che non ricordi le scadenze di lavoro? Lo sai che abbiamo un contratto da rispettare? Io t’invio il materiale e tu lo cestini? Non rispondi? Quante domande, povero Davide.

Ricordò le parole che, distesa in un bagno caldo mentre la pioggia cadeva incessante e sottile, aveva rimesso in fila e ordinato più volte ma che dicevano altro, che giravano intorno.

Stewart è stato gentilissimo. Ha preso in affitto appartamenti confortevoli e mi ha guidata nel lavoro per gradi. Seguire Mr Freeman non è stato facile, lo sai che tiene conferenze ovunque ed è in odore di grossi premi; inoltre, lascia che te lo dica,  ha un carattere orribile.
Ti racconterò a voce tutti i particolari. Sono certa che ti divertirai.
Comunque, ho già pronte una trentina di cartelle ma immagino che almeno questo tu lo sappia nonostante continui a ignorarmi.
P.S. A volte mi domando perché  hai scelto me per le tue traduzioni. C’era Laura che mi pare avesse ottenuto un punteggio più alto del mio e comunque, è molto più affine alle tue zone di interesse. Sai anche che mi occupo di tecnologie, che amo leggere il presente e parlarne.
Comunque credo di aver fatto un buon lavoro.
Ti bacio come sempre.

Marina

Sotto c’erano alcuni numeri di telefono, appunti presi al volo, piccoli disegni e macchie varie a dissacrare l’oggetto di culto!
Quella fu la prima lettera che Marina non spedì.

Appena più in là, in linea d’aria assai poco distanti, finestre a sesto acuto filtravano la notte.
Illuminato dal display, lo sguardo di Davide era cupo. In attesa di una decisione qualunque, vide l’alba e stette in ascolto del suo cuore e del respiro asmatico di Freud. Infine, decise per un caffè.




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