Pagine

giovedì 8 novembre 2012

#Sonounadellepocheragazzeche...


Confessarsi è sempre sano, mostrarsi in tutta la propria nudità emotiva è un bene, dichiarare a tutti e a nessuno debolezze e punti di forza– casomai passasse da qui il mio “idolo”, quello che proprio non mi segue- sembra la cosa migliore, almeno vista da qui, mentre vado a scuola, seduta ancora sulle scale o in bagno, prima della lezione di latino.

Mostrarsi tra questa folla, è tutto ciò che rimane a noi ragazze per venir fuori in questa confusione, da questo bla bla bla fastidioso, attraverso PIC che mostrano solo il nostro lato migliore, quello senza occhiaie da studio o da ciclo mestruale.
Lo so che non sono una ragazza, ma che c’entra, certa roba rimane addosso come il gesso e la paura della lavagna, di non sapere, lì davanti a tutti e nella minigonna nuova, come risolvere quella maledetta equazione.
Anche qui, porca puttana, sono una di quelle che si dimentica l’apostrofo... ma chi se ne frega. È il contenuto che conta, vero?, se detto da una bella bocca, poi, anche la sintassi scorretta può calzare a pennello, come un neo sulla guancia, al posto giusto.

Su questa TL c'è di tutto, ci sono le maestrine petulanti, quelle ragazze che, un po’ vecchiotte, dichiarano la totale mancanza di originalità delle altre e la loro capacità, straordinaria, di distinguersi: perché dall’omologazione non si viene fuori.
Ci sono #Quellepocheragazzeche, tante e troppe, inseguono, vogliono, amano un idolo che però non le ricambia, le deboli e le anonime, le bruttine, quelle che si sentono di troppo, grasse o troppo troppo magre, sofferenti e tristi come se questo maledetto retweet fosse il marchio distintivo per un futuro qualunque, che se anche da qui non lo vediamo, sembra comunque perfetto (e per fortuna).

Le ragazze che si fanno del male e lo scrivono, che sentono il bisogno di mostrare a tutti i propri tagli, quelle che non sono originali perché ci sono sempre state, e che a un certo punto grazie dio smettono,  perché non serve a niente, è solo un’abitudine fin troppo reclamizzata da non destare più alcuna meraviglia. Le ragazze che ancora non sanno ancora che poi, da grandi, le cicatrici rimarranno per sempre a ricordarci quanto siamo state imbecilli: e metti via quella cazzo di lametta che è meglio.
Ci sono vampiresse e licantrope, le solitarie e le bugiarde.
Ragazze fatali e dozzinali con la spalla magra di fuori, che devono dirlo proprio a tutti quanto essere cattive è bello, un marchio di fabbrica che vale più del diploma.

Ci sono #Quellepocheragazzeche preferiscono un CD al maquillage.
Perché semplice è bello -lo dice anche nonna- è bello come le scarpe da ginnastica e non avere un ragazzo.
Ah, e non fumare.
Sì, sì, dico a te, proprio a te che stai di sotto alla mia PIC e mostri la gamba come fosse una reliquia. Che di spalle, con capelli biondi da invidia, racconti di avere amato per la prima volta a undici anni. Ma valà, ma chi vuoi che ci creda, giusto qualcuno in là con gli anni e che per un po’ si prenderà gioco di te e del tuo minorenne entusiasmo domandandoti poi, di cancellare tutti i DM.

E poi un tuit dopo l’altro digiti la tua paura a dimostrare amore, a farti notare, ecco, appunto, ancora, maledizione: la tua ansia di voler essere diversa e originale. Perché sei una delle poche ragazze che non sa vedersi bella né riesce a migliorare, come avessi lì davanti agli occhi un modello ben preciso da seguire. Come quella di pochi tuit avanti, che legge miliardi di libri dice che scrive romanzi ma poi sbaglia accenti ed elisioni.

C’è una delle tante che non studia libri interi, perché li taglia a metà, forse, credo.
Quella che fa la scema quando è triste e quella che si pavoneggia per i suoi Master e che si sente arrivata, non la solita sfigata.
C’è quella quella che nasconde il sorriso, quella che usa un altro nome.
#Sonounadiquelleragazzeche sta sempre in libreria, non come quella che usa tremila pronomi personali per evitare di perdersi, perché quel verbo, non venga attribuito, per sbaglio, a nessun altra.

C’è la svampita e la santarellina, quella che se ne frega della dieta e che preferisce la nutella, la famiglia al locale, e che nella PIC ci mostra il suo mito, pardòn, il suo idolo: uno sbarbatello che forse durerà ancora due anni in una hit –se tutto va bene- prima del tramonto.
E poi lacrime, rancori, e ancora acuti dolori adolescenziali, quelli che chiusa nell’armadio e abbracciata al rotellone bianco con prolunga, raccontavo alla mia amica del cuore, in un tempo analogico lontano, così felice di essere unica, sola e originale.
Poi, abbiamo acceso la luce e ci siamo contate, siamo in troppe, sì, e tutte uguali.

Nessun commento:

Posta un commento