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domenica 4 agosto 2013

Deriva di Twitter #30 IL TASTO ANTI ODIO

“Il pulsante per la segnalazione di abusi sarà esteso a tutte le versioni di #Twitter”. La notizia, che circolava da alcuni giorni, ora è ufficiale. Già esistente su alcune piattaforme in USA il “tasto” per la denuncia di abusi verbali, sarà esteso a tutte le versioni del più famoso social del mondo.

La prima a sollevare il caso, improvvisamente risvegliatasi all'odio sociale che impera da anni, è stata Laura Boldrini, presidente della camera, poi gli insulti al ministro Kyenge, due settimane fa la storia della signora di Cataldo e la sua denuncia per percosse che ha messo a rischio anni e anni di lavoro dei centri anti violenza e di battaglie, tanto che, soltanto ieri, un’altra donna ha denunciato il suo compagno e sempre tramite Feisbuc. Per non parlare del caro amico che flirta on line dal tempo 1.0 e le cui foto dell’amante vengono inviate alla moglie e con tanto di mail sconce.
A fare da portabandiera a questa follia del “tasto antiodio” o “anti idiota”, è l’attivista Carolina Criado- Perez, cui va la mia stima per quanto fatto fin qui attraverso giuste provocazioni femministe ma che si guadagna il mio totale disappunto per aver promosso questa campagna che, a mio avviso, lede la libertà di chiunque. Eh sì, perché se ci levano anche la possibilità di odiare non so proprio dove andremo a finire.
Si rischia di fare un grande torto (ulteriore) a un popolo le cui istanze non solo vengono disattese ma nemmeno ascoltate, se lo si limita anche la possibilità di urlare –con parole proprie- ciò che pensa.

Un’azione del genere viola qualunque principio di libertà già  abbondantemente violato da tutta la rete e da browser spia come Google. Credo che, per quanti strumenti i nostri Governi hanno già per entrare nel merito delle nostre scelte, e perfino delle nostre storie extraconiugali, non ci sia nessun bisogno del tasto “anti odio”. Siamo già controllati h24 da tutti i Ministeri dell’Interno di ogni nazione. I nostri social sanno cosa venderci e quando, non credo quindi sia così complicato, a seguito di una denuncia per minacce, risalire a chi le ha digitate, per quanto "Fake, Anonimus o Troll". Immagino che chiunque usi la rete per fare attivismo, e di qualunque tipo, debba aspettarsi una reazione anche di protesta: a essere bombaroli senza rischiare il culo sono bravi tutti. Perciò, se non si sanno reggere gli oppositori e se non si sa rispondere in maniera adeguata alle offese, agli insulti e alle minacce, allora credo sia il caso di lasciar perdere la rete e tornare a occuparsi di qualcosa che non implichi nessun pericolo.

È come se io, attualmente disoccupata,  imprenditrice fallita, laureata e con un buon curriculum, potessi sentirmi offesa e gravemente depressa, o spinta al suicidio, per gli abiti che veste la presidente della Camera o un ministro qualunque del parlamento italiano.
Perché no?
Chi può giudicare o misurare l’entità dell’offesa inferta o la gravità della minaccia subita?
Esiste forse un “MINACCIOMETRO”?
Perché non applicare le leggi già esistenti nel mondo analogico, anziché creare questo spauracchio per imbecilli?
È come se (sempre io) dopo aver scritto un romanzo sul sadomasochismo, mi offendessi e mi sentissi minacciata alle mail di uomini e donne che, confondendo protagonista con creatrice della storia, mi domandano di uscire con loro, o di conoscere qualcosa in più su questa pratica, o peggio, di avere rapporti sessuali con me a pagamento. È un rischio che sapevo avrei corso, l’avevo calcolato, e non mi metto certamente in testa di denunciarli. Rispondo garbatamente e faccio capire loro che le cose stanno altrimenti. Se non capiranno farò intervenire mio marito, poi il mio amante, poi li denuncerò alla polizia postale, farò qualcosa che sicuramente porrà un freno alle minacce.

Tutta questa frenesia e indignazione mi pare eccessiva, soprattutto quando migliaia di senza lavoro e senza tetto, ultra quarantenni incazzati neri, che mai rientreranno in un provvedimento o in un disegno di legge che salvi loro la vita, non vengono nemmeno considerati come un problema.
Mi sembra un passo verso la limitazione della libertà di chiunque. Un provvedimento cautelativo che potrebbe trasformarsi in una caccia alle streghe e generare altro odio.
Perché che cosa sarà considerato illecito e cosa no? 
Se userò il termine “puttana” sarò denunciata da tutte le sex worker del mondo?
Se scriverò del piccolo "arnese" di “tizio” e “caio” in un racconto satirico postato su #Twitter sarò ingabbiata per offese contro gli ipodotati?
Se risponderò all’idiozia appena digitata da un giornalista o da un parlamentare, che cosa devo aspettarmi? La frusta?
E se anche l'umorismo venisse scambiato per insulto?
Chi mi legge da tempo sa che detesto la maleducazione e la combatto e che, allevata da una nonna severa ed educata alla maniera antica, potrei anche essere tentata di lasciare qualcuno con le ginocchia sui ceci per una notte intera e soltanto perché ha trascinato la sedia anziché sollevarla dal pavimento. Ma è un mio punto di vista, una mia personale idea della buona educazione. 


È vero, la mancanza di civiltà stanno esacerbando la pazienza di molti, twitstar o common che siano. Credo comunque che il tasto “BLOCCA” già presente su Twitter e FB,  sia più che sufficiente a evitare minacce. Inoltre, faremmo meglio, attivisti compresi, ad occuparci di chi muore per strada, di chi chiede l’elemosina e dorme sul pavimento attorno alle stazioni dei treni, piuttosto che stare tutto il giorno a fare battaglie dietro un monitor. Le provocazioni restano provocazioni, soltanto i fatti, e nemmeno sempre, cambiano il mondo e tutto questo velo politically correct rischia soltanto di coprire ben più gravi disparità tra gente comune e piccole o grandi star.

3 commenti:

  1. Ciao Elena! Articolo spettacolo! Mai fuori dalle righe, mai noioso, mai raccapricciante! Da circa tre mesi collaboro con una rivista locale: Rdb Magazine. Tratta qualsiasi argomento, ma tutti positivi. Io mi occupo di una Spy story a puntate. La mia compagna di classe delle elementari, ritrovata dopo, ahimè, 30 anni, è una scrittrice come te. Si chiama Monica Penazzato e ha un suo sito (.com). Ha scritto il primo di una trilogia: le regole di Irina. Dai un'occhiata senza impegno. Fammi sapere poi su fb o sulla mia mail. Buona giornata! David

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  2. Ciao Elena :)
    del tuo interessante articolo, mi piace metter in evidenza le conclusioni (nel caso qualcuno legga solo l'incipit e i commenti): «Le provocazioni restano provocazioni (vale anche per le petizioni e gli appelli all'azione), soltanto i fatti, e nemmeno sempre, cambiano il mondo»

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  3. Io, da Twitter, senza entrare in altri problemi politici, sociali e personali molto più gravi, vorrei solo una maggior trasparenza delle regole.
    Ammesso che venga aggiunto un nuovo tasto di denuncia, questo si aggiungerà agli strumenti già presenti sulla piattaforma, e sarà una ulteriore invasione con regole sue della nostra vita, regolata già da leggi nazionali.
    Quante denunce faranno scattare la sanzione e come verrà controllata la correttezza della denuncia?
    Io sono abbastanza refrattario a regole applicate in modo discrezionale. Ad esempio, per allargare il discorso, twitter vieta il follow e defollow al fine di aumentare la “popolarità”. Ma quanti foll e defoll sono il limite orario o giornaliero? Io ci vedo solo poca democrazia, confesso, da parte di mezzi come Twitter o Facebook, che impongono regole e fanno propri i contenuti, modificando in modo unilaterale.
    Certo che posso anche non esserci. Mica me lo dice il medico di stare sui social. Ma io preferirei pagare un abbonamento ed avere diritti. Cioè conservare la proprietà di quanto pubblico e non essere bloccato o sospeso in modo discrezionale, senza avvisi o notifiche chiare.
    Non basta dire: non si corre in auto. Occorre anche dire: vietato superare i 50, o i 90, o i 110… senza esplicitare i limiti qualcosa non funziona.
    Silvano C.

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