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mercoledì 9 ottobre 2013

Una certezza soltanto

Te lo ricordi che non potevo restare più di due ore senza vederti?
Ricordo che passavamo delle ore a baciarci.

Invece restano muti sulla scala mobile e si guardano con diffidenza. La donna procede veloce, e schivando gente e carrelli gli passa davanti per correre ad accarezzare il legno chiaro della sua cucina da sogno. Lui cerca di darle un peso, a sua moglie, e un valore: a occhio e croce sarà ingrassata dieci chili.
Non aveva nemmeno mai notato che consuma soltanto la parte laterale esterna delle scarpe, cammina male, e un po’ lui se ne vergogna anche di lei e dei suoi vecchi stivali, della ricrescita ai capelli così evidente e di quel giubbotto che avrà almeno vent’anni. Si vergogna anche di se stesso e di quel “domani cambierà”, ripetuto ogni sera, che non lo ha fatto procedere di un passo. Nemmeno ricorda più quali fossero le sue ambizioni, le loro, dimenticate tra un post datato e un pagherò sempre a portata di labbra.
Anche il passato di verdure è diventato un incubo. E le patate, che gli cucina in ogni modo e maniera e che ormai gli danno la nausea.
L’ultima volta che ci ha fatto l’amore ha dovuto chiamare in soccorso tutte le fantasie erotiche più sconce, le stesse che guarda e riguarda da anni sullo schermo del suo PC, di notte, le uniche in grado di fargli affluire il sangue esattamente lì, per poco, in modo potente e istantaneo. 
Quel pomeriggio si era liberato a fatica di quell’orgasmo indispensabile, mentre lei gli urlava di venire e di far presto: che di lì a poco sarebbero tornati i bambini, che mezz’ora soltanto e avrebbe dovuto portare in tavola. Nessun tatto, nessun preliminare, che con una scusa plausibile si può sempre evitare.

Lei si china e apre portelli, si alza sulle punte e controlla per l’ennesima volta cappa e pensili, come se in quei mesi fosse cambiato qualcosa: con ottocento euro, trasporto e montaggio sono compresi.
Lui guarda la cerniera della gonna che le è rimasta aperta sul lato, un minuscolo coccodrillo freddato nell’atto di azzannarle la ciccia del fianco.
Lei lo guarda e sembra indifferente. Si fissa un attimo sul risvolto dei pantaloni miseramente consumato, sale fino alle ginocchia e alle cosce così magre da far tenerezza.
Una notte era stata svegliata dal moto sussultorio del letto: suo marito si faceva una sega accanto a lei che piangeva solo un po’, in silenzio, per non umiliarlo, per dimenticare poi quel dolore nel sonno.
L’obiettivo è a un passo da lei: ottocento euro più IVA il prezzo della felicità a basso costo.

Ti ricordi quanto mi facevi godere?
Sì, ricordo che lo prendevi sempre, tutto, e più volte al giorno. Ricordo che eri ingorda.

Invece, lui si sposta rapidamente al reparto lampade e senza guardarsi indietro. Potrebbe anche fuggire. Correre alla macchina e partire senza destinazione. Chiamare suo fratello e dirgli di andarla pigliare, di badare lui a moglie e bambini.
Invece il suo compito è quello di badare alla scorta di lampadine, e di sostituirle, possibilmente.
Da lì, piegato sulle ginocchia, guarda mani che s’intrecciano tra loro, quelle dei neo sposi che arredano gioiosamente casa e fanno mille progetti, e ridono.
Si vestono ancora per piacersi, non vedono al di là del loro nido d’amore, quello per il quale hanno firmato un mutuo trentennale contando sulla promessa appena fatta, sull’affetto e sull’amore che li terrà assieme nella vita e nella morte.
Fa la conta delle lampadine e un rapido calcolo della spesa totale.
Sente la sua presenza alle spalle. Si volta e la guarda.

Mi tenevi sempre per mano.
Mi chiamavi per nome.

Invece lei batte l’indice sull’orologio. È ora di andare. Tra un mese la cucina sarà ancora lì ad aspettarli, come il comune tedio e il comune inganno.

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