Glielo domandò dopo pranzo, un giorno in cui erano riusciti
a trovare scuse plausibili e una bella giornata di sole.
Avevano scelto il mare, il litorale, e prenotato in un
alberghetto che risuonava ancora d’estate e odorava di
muffa.
Ma un’ora libera si trova sempre e un posto anche.
Perché glielo avesse domandato, non lo sapeva più nemmeno lui.
La loro era stata una relazione chiara fin dall’inizio, un
rapporto maturo senza altre compromissioni. Una scopata coinvolgente un paio di
volte al mese e basta.
Perché un’ora libera si trova e un posto dove incontrarsi
anche, gli diceva ogni volta lasciandolo nell’incertezza dell’abbandono
definitivo con un “ti faccio sapere io, magari ti chiamo”.
Così non c’era nessun bisogno che lui glielo domandasse. Non
dopo pranzo e con il mare negli occhi che riluceva del sole bianco d’autunno.
Non dopo gli spaghetti all’astice e la frittura mista. Non dopo quella
mattinata di caldo sulle guance.
Le storie più belle arrivano sempre inaspettate, così come
gli addii. Ci s’incontra senza ragione apparente, a causa di un bicchiere di qualcosa inavvertitamente rovesciato
addosso al vicino di bancone al bar del Lido, al termine di quattro chiacchiere
scambiate tra vicini di ombrellone, tra le ciglia socchiuse e le parole perdute per sempre nell'infrangersi di un'onda.
Mio marito è lì.
Mia moglie pure.
La vita è un casino.
È un’esistenza infame.
Domani alle tre in pineta.
Sì, domani a quell’ora sarò libera anch’io.
Succede che a volte nemmeno si sa come.
Si vedevano da un paio d’anni a intervalli regolari.
Non parlavano molto. Più che altro si annusavano. Si
guardavano. Si piacevano. Come una coppia collaudata si raccontavano con
semplicità i fatti del giorno, parlavano del parcheggio che non si trova,
dell’aumento delle bollette e del costo della vita e dell’esistenza, che non dà
più soddisfazioni.
Prendeva sempre lui l’iniziativa, ed era questo che le
piaceva.
Per tutti i giorni che la separavano dall’appuntamento, si
domandava quale sarebbe stato il nuovo incipit, come avrebbe iniziato e dove. Sulla
porta, ancora prima in ascensore, una volta in camera ancora con i cappotti
addosso.
Quella era la sorpresa, quella la scommessa di ogni volta,
la conferma che levava loro di testa ogni dubbio.
Avrebbe iniziato con un bacio profondo?, voltandola bruscamente
di schiena?, in ginocchio?, la bocca dolorosamente premuta sulla lampo?
Bastava un buon inizio perché lei lo seguisse assecondandolo
in tutto, mani, dita, lingua, bocca. Mai un calo del desiderio, mai una parola
di troppo. Le loro lingue battagliavano
con la stessa forza del primo giorno, in pineta, a pochi
passi dalle roulotte.
Erano stati i loro corpi a domandare, a volersi, a decidere
se vedersi e a prendere posizione nei confronti della ragione, delle
contingenze e delle priorità familiari. Era la ribellione dei chakra, la legge
dell’attrazione che contava su tutto. E loro assecondavano il desiderio quasi
con rassegnazione, lasciando ogni priorità fuori dalla camera d’albergo o dalla
casa presa in prestito dall’amico.
Perché si muore.
Perché sennò la vita è un tormento.
Perché poi siamo felici.
Si lasciavano senza dolore, sapendo che il destino era
tracciato, che così andava comunque bene, che l’amore clandestino non cerca
altro che la soddisfazione del desiderio, non il sogno, non un avvenire insieme,
quello che poi col tempo si rovina.
Però lo aveva fatto. Aveva assecondato la ragione e glielo
aveva domandato.
Non contento di quel “ti chiamo io” era andato più in là, aveva
infranto un tabù, aveva osato dove proprio non si poteva.
Lei non gli rispose. Ordinò i caffè che bevvero in silenzio,
alzando a turno lo sguardo. Intrappolati ormai in quel punto di domanda che non
lasciava dubbi, pagarono il conto e si avviarono alla macchina.
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