Forse ha sette anni, madre e nonna la tengono d’occhio
stando sedute sul muretto che circonda il piccolo condominio, fumano,
sbadigliano rumorosamente. Immagino non abbiano da dirsi nulla d’interessante.
La vita di paese scorre lenta, tutto si sviluppa tra
ipermercati e il lago.
Le due non fanno che raccomandarsi di andar piano: eppure l’emiciclo
non nasconde pericoli, non vedo dossi né scalini.
La bambina porta la frangetta lunga sul viso lungo e
pallido, non è particolarmente bella né brutta. È troppo cauta, attenta, lo
capisco dalla bicicletta priva di ammaccature, dalle mani perfettamente pulite,
soltanto la voce stridula la fa sembrare una bambina.
Penso abbia salutato me e rispondo, invece, dallo sguardo
attento che si sposta di continuo verso l’alto, mi accorgo che mima una tipica
sosta al semaforo: va al mercato, nel ruolo che ha imparato, la stessa cadenza
di sua madre e di sua nonna, l’intonazione servile della donna moderna dice «Tu
sei papà, e io ti domando cosa vuoi per cena: cosa ti preparo stasera?».
La madre prende tempo, la bambina allora si spazientisce «Non
siamo mica al ristorante, ed io devo ancora portare la bambina a scuola».
La madre che interpreta il padre ride. Non si preoccupa
dell’imprinting lasciato sul piccolo clone, la spugna che assorbe
quotidianamente le sue banali frustrazioni.
«Preparami della pasta… pasta e vongole!» esclama infine la
madre soddisfatta.
Poi, mentre attraverso il cortile per andare a depositare il secchio del
residuo secco, la madre/padre aggiunge «E che siano fresche, mi raccomando!»,
la bambina, tra sé «e certo!, il signore vuole anche impepata di cozze?».
Il clima è livoroso.
L’atmosfera casalinga dietro le tendine di pizzo è tutto un
non detto.
Al mio ritorno la piccola interpreta una gelataia nervosa.
Sì, perché tra tanti che sognano una vita da Star è ormai
difficile trovare qualcuno che stia veramente a proprio agio con uno stipendio
da gelataio.
I gusti sono introvabili, la piccola dalla lunga frangetta sbuffa
ed elenca con voce monotona ciò che il cliente può domandare, aggiungendo degli
scortesi “gliel’avevo già detto l’altra volta” e degli inequivocabili “che fa,
è sorda?”, e propone le diverse possibilità: crema, pistacchio, lampone e amarena
al lunedì; cioccolata, caffè e stracciatella il martedì e il giovedì; limone,
menta e fragola solo il mercoledì. La madre si confonde, la bambina, severa
come un’impiegata comunale che debba rilasciare un certificato di residenza a
una famiglia di extracomunitari, indica, pur spazientita, una lavagna immaginaria
alle proprie spalle e ricomincia a fare l’elenco. Infine si decide ad
allungarle il cono, non prima di aver battuto alla cassa lo scontrino, di
essersi lamentata per il pezzo da cinquanta, di aver fatto una corsa nel
negozio accanto per cambiare la banconota, ed essere rientrata in gelateria con
l’affanno.
Resto lì a guardare, fingo di pulire il ficus davanti alla
mia porta d’ingresso che come tutte le altre si affaccia sul cortile assolato,
la bambina è diventata maestra. Stavolta è un one baby show e non me lo posso perdere.
Ma non voglio destare sospetti, rientro e mi nascondo dietro
le persiane.
Ma il mio posto in prima fila serve a poco. Lo spettacolo è
finito.
Un’auto strombazza.
La bambina lancia un urlo di gioia. Ecco il papà finalmente.
Ogni padre ha diritto a una figlia innamorata, che a causa
sua sceglierà un uomo sbagliato, che la renderà infelice.
Anche se è un padre orribile, volgare e un po’ lercio avrà
la sua bimbetta innamorata.
È destino di noi femmine alla perenne ricerca di restituire
un po’ di utilità all’inutile aggressività che anima l’altro sesso.
Il padre scende dall’auto e subito si accomoda il cavallo
del pantalone.
Non contento, forse ha viaggiato a lungo, si smuove ancora
gli attributi.
Sorpassa il cancelletto e non risponde al saluto della
moglie. La suocera avrebbe fatto meglio a restare seduta sul muretto.
La bambina gioiosa gli si stringe alle gambe, lui le stampa
un bacio raggelante sulla testa e si guarda attorno con sguardo scettico: il
mondo è crudele ma ci sono io.
Guarda verso le mie persiane, mi allontano per non essere
vista.
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